Protagonista del percorso espositivo è Domenico Tiburzi, il Re del Lamone, il più celebre dei briganti maremmani, nato nella frazione di Pianiano nel 1831 e morto alle Forane di Capalbio nel 1896.
Il Museo ha sede nei locali dell’ex mattatoio comunale. L’edificio, una costruzione dei primi del Novecento, è stato appositamente recuperato e rifunzionalizzato in vista della sua destinazione a sede del Museo del brigantaggio. Oltrepassata la soglia di ingresso, luogo simbolico all’interno del quale il Museo dichiara la propria Missione, si accede ad uno spazio che restituisce le fonti documentarie sul brigantaggio maremmano che risalgono agli anni stessi del fenomeno (all’ingrosso: la seconda metà del XIX secolo). Due gli elementi fondamentali che connotano questa sezione sul piano scenografico: il bosco e il treno. Simbolo, il primo, di una idea di tradizione e, il secondo, di una idea di modernità. È il loro rapporto tra queste due dimensioni a costituire una delle chiavi di lettura del brigantaggio maremmano.
Il piano terra è stato pensato come un percorso polifonico, fatto di oggetti esposti, testi da leggere, cassetti da aprire, audio da ascoltare, video: risorse conoscitive ed emozionali che il visitatore è chiamato ad attivare e fruire sulla base delle proprie curiosità. A guidarlo il reportage del giornalista Adolfo Rossi, il quale seguì le vicende processuali della Banda del Lamone, di cui era a capo Tiburzi, e che nel 1893 pubblicò un volume intitolato Nel Regno di Tiburzi.
Il piano superiore restituisce, tramite diverse installazioni etnografiche audiovisive, storie che hanno come protagonista il brigante Tiburzi. Tre di queste, particolarmente rappresentative, sono state trasformate in micro performance narrative fruibili in tre stanze a tema.
Chiude il percorso La Taverna dei briganti, uno spazio che documenta l’utilizzo commerciale e di promozione territoriale della figura del brigante.