Narratore: Mario Olimpieri – Storico Locale
Certi luoghi si somigliano. Di grotte è disseminata l’intera la Tuscia. Cavità naturali o antri scavati dall’uomo poi utilizzati e riutilizzati ininterrottamente per secoli. Ciò che li rende unici sono le storie che gli si sono sedimentate sopra. Non importa siano vere o meno. Basta che siano veramente raccontate. Le storie hanno il potere di plasmare l’immaginario.
La grotta della mercareccia, conosciuta anche come grotta di Tiburzi consiste, molto probabilmente, in una cavità naturale che nel corso del tempo ha subito molteplici interventi di allargamento e adeguamento ad opera dell’uomo, come testimoniano le tracce di scavo ancora visibili sulla volta e sulle pareti di roccia. L’intero territorio della Tuscia risulta disseminato di simili cavità, più o meno ancora in uso. Il nome con il quale la grotta è universalmente conosciuta e segnalata lascia immaginare che fosse un luogo deputato alla pratica della merca (marchiatura a fuoco di bovini allevati allo stato brado) o più in generale al riparo temporaneo di pastori e butteri. Non è da escludere che anche questa grotta abbia offerto ricovero o nascondiglio occasionale a Domenico Tiburzi e ad altri sodali della sua banda, trovandosi questo antro nel bel mezzo di quello che il giornalista Adolfo Rossi definì “il Regno di Tiburzi”. Il caratteristico doppio ingresso alla grotta dà luogo al suo interno, al variare dell’esposizione al sole, a suggestivi giochi di luce laddove la radiazione lambendo le pareti o il soffitto mette in evidenza le tracce materiche lasciate dagli strumenti da scavo.